Diabetic woman preparing for a run

Diabete mellito ed esercizio fisico

Diabete: panoramica

Il diabete è una patologia cronica caratterizzata dalla presenza di elevati livelli di glucosio nel sangue (iperglicemia) causati da un’alterata produzione o funzione di insulina, ormone prodotto dalle cellule β delle Isole di Langerhans del Pancreas. È una malattia che colpisce un numero elevatissimo di persone, infatti la International Diabetes Federation ha pubblicato dei dati non molto confortanti nel 2019: a livello mondiale sono 463 milioni le persone affette dal diabete, ciò  significa che 1 adulto ogni 11 è diabetico. Il dato più preoccupante è che a 232 milioni di persone adulte la patologia non viene diagnosticata e quindi questi individui non sanno di averla (1 individuo su 2).

A livello italiano, l’Istat ha stimato che nel 2016 le persone con diabete erano oltre 3 milioni e 200 mila, raggiungendo il 5,6% della popolazione totale.

Questi dati devono far riflettere sul peso e la pressione che questa patologia porta al Sistema Sanitario Nazionale (SSN), a livello sociale, economico e di spesa pubblica.

Per questo è necessario intervenire, insieme alla terapia farmacologica, con altri mezzi quali l’attività fisica, più precisamente l’Attività Fisica Adattata. Sono ormai noti i benefici dell’esercizio fisico a livello degli apparati, tessuti, compreso il tessuto nervoso, comprovati da centinaia di studi scientifici, e sono chiare le linee guida che le varie Associazioni, Federazioni e Organizzazioni internazionali hanno stilato per sopperire alla mancanza di movimento, soprattutto nei soggetti a rischio e/o con patologie croniche.

Epidemiologia

L’aumento globale dell’indice di obesità, inattività fisica e diete alimentari scorrette ha portato a un incremento mai visto prima del numero di persone con diabete di tipo 2. Nel 2015, è stato stimato che 415 milioni di persone fossero affette da diabete, di cui più del 90% di tipo 2, con una proiezione al 2040 di un aumento fino a 642 milioni;

è per questo che il diabete può essere definito come una epidemia mondiale. Nel 2017 la prevalenza mondiale del Diabete mellito era di 425 milioni e nel 2015 circa il 10% della popolazione americana aveva il diabete. A 7 milioni di queste non era stato diagnosticato. L’età ha un’importanza riguardo la prevalenza del DM. Circa il 25% della popolazione sopra i 65 anni è diabetica.

L’incidenza e la prevalenza del T2DM varia a seconda della regione geografica e a seconda del reddito dei pazienti. Infatti l’80% vivono in paesi a reddito medio-basso ma la tendenza generale è un aumento del diabete in ogni paese dal 1980.

Altre 318 milioni di persone invece mostrano uno stato di compromessa regolazione del glucosio, ma una modificazione dello stile di vita, la farmacoterapia, oppure entrambi, possono invertire o ritardare lo sviluppo del T2DM.

Se si comparano soggetti sani con quelli diabetici, questi ultimi hanno un rischio del 15% in più di andare incontro a tutte le cause di mortalità, che raddoppiano rispetto i giovani e in colori che hanno un’età inferiore ai 55 anni ed hanno una concentrazione di emoglobina glicata (HbA1c) di 6-9% (55 mmol/mol) o meno.

Fattori genetici e ambientali affliggono l’epidemiologia del diabete di tipo 2. La genetica esprimono i loro effetti dopo un’esposizione a un ambiente “obesogenico” caratterizzato da abitudini sedentarie e un consumo di cibo ricco di zuccheri e grassi.

Sintomatologia e principali fattori di rischio

Nel quadro dei fattori di rischio del diabete, i principali possono essere divisi in fattori genetici e ambientali, i quali coadiuvano l’infiammazione, l’autoimmunità e lo stress metabolico. Questi stati pro-infiammatori influenzano il numero delle cellule β e/o la loro funzione fino a che i livelli di insulina non sono in grado di rispondere sufficientemente alla richiesta insulinica da parte dei tessuti, portando a livelli di iperglicemia sufficienti per diagnosticare il diabete. Indipendentemente dalla fisiopatologia del diabete, i livelli cronici di glucosio nel sangue sono alti perché associati a complicanze microvascolari e macrovascolari che aumentano la morbilità e la mortalità delle persone con diabete.

Secondo la Federazione Internazionale del diabete (IDF) il diabete mellito di tipo 2 è associato a numerosi fattori di rischio, come la storia familiare, il sovrappeso, una scorretta alimentazione, la sedentarietà, aumento dell’età, un’alta pressione sanguigna, l’etnia, intolleranza al glucosio, un pregresso diabete gestazionale e una povera base nutrizionale durante la gravidanza.

Il diabete mellito di tipo 1 e di tipo 2 possiedono sintomi simili e includono polidipsia e xerostomia, minzione frequente, stanchezza, ferite a lenta guarigione, ricorrenti infezioni della pelle, visione offuscata e formicolii e intorpidimento di mani  e piedi. Il problema è che questi sintomi posso essere leggeri o addirittura assenti, addirittura convivere con il soggetto in forma latente prima che venga diagnosticata la forma di diabete.

Secondo l’ADA (American Diabetes Association), tra i principali sintomi di un’alta glicemia sono inclusi:

  • poliuria
  • polidipsia
  • perdita di peso
  • a volte con polifagia
  • visione offuscata.

Inoltre, anche la compromissione della crescita e la suscettibilità a determinate infezioni possono accompagnare ad un’iperglicemia cronica.

Conseguenze dal punto di vista locale

Il T2DM, insieme alla sindrome metabolica e alle patologie cardiache, hanno in comune un aumento della concentrazione delle citochine pro-infiammatorie, quindi sono il risultato di un’infiammazione. Le citochine infiammatorie sono prodotte da diversi tipi di cellule e rilasciate in circolo vanno a regolare le azioni centrali, locali, e periferiche dei vari tessuti.

Un basso grado di infiammazione è caratterizzato dall’incremento di citochine di 2 o 3 volte superiore nella concentrazione plasmatica, come il fattore di necrosi tumorale (TNF-α), l’interleuchina 6 (IL-6) e la proteina C reattiva (CRP). L’infiammazione sembra ricoprire un collegamento comune tra aterosclerosi, obesità e resistenza insulinica. L’aumento del tessuto adiposo osservato nell’obesità può portare ad un’attivazione cronica del sistema immunitario innato che, a sua volta, porta a resistenza insulinica e T2DM nel tempo. Sebbene sia implicato nella patogenesi delle malattie croniche, il sistema immunitario innato funge da prima linea di difesa critica contro gli organismi invasori. Infatti le cellule immunitarie innate riconoscono i prototipi molecolari presenti sui patogeni attraverso i recettori di riconoscimento dei pattern espressi sulle membrane della superficie cellulare. Il legame ai recettori di riconoscimento del pattern attiva le vie di segnalazione del fattore nucleare-kB (NF-κB), portando così a una risposta infiammatoria. I recettori più studiati sono i toll-like (TLR), una famiglia di 12 membri nota per essere attivata dai lipidi. Ad esempio, TLR2 riconosce lipoproteine ​​e glicolipidi, mentre TLR4 riconosce il lipopolisaccaride (LPS). Ci sono prove che sia TLR2 che TLR4 possono riconoscere gli acidi grassi e indurre l’espressione di citochine pro-infiammatorie nei macrofagi.

Inoltre ci possono essere delle conseguenze di tipo acuto e pericolose per la vita del diabete non controllato, che sono l’iperglicemia con chetoacidosi o la sindrome iperosmolare non chetotica.

Le complicanze a lungo termine del diabete includono la retinopatia con potenziale perdita della vista; nefropatia che porta a insufficienza renale; neuropatia periferica con rischio di ulcere del piede, amputazioni e articolazioni di Charcot; e neuropatia autonomica che causa sintomi gastrointestinali, genito-urinari e cardiovascolari e disfunzione sessuale. I pazienti con diabete hanno una maggiore incidenza di malattie aterosclerotiche cardiovascolari, arteriose periferiche e cerebrovascolari. Si riscontrano spesso anche ipertensione e anomalie del metabolismo delle lipoproteine.

Quando si parla di attività fisica, si parla di una concezione che comprende tutte le forme di movimento finalizzate ai vari ambiti di vita, da quello lavorativo al non lavorativo come la cura del giardino, lavori domestici, ecc., di trasporto (spostamenti casa-lavoro), tempo libero (attività svolta per divertimento, per socializzare, per allenarsi). Secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), per “attività fisica” s’intende “qualunque movimento determinato dal sistema muscolo-scheletrico che si traduce in un dispendio energetico superiore a quello della condizione di riposo”.

Protocolli codificati e linee guida

A tal proposito, l’OMS ha introdotto le nuove linee guida per l’attività fisica e i comportamenti sedentari che si sono acutizzati a causa della pandemia di COVID-19. Infatti con una popolazione mondiale più attiva si eviterebbero 5 milioni di morti ogni anno. Secondo l’OMS infatti 1 adulto su 4 non pratica abbastanza attività fisica per essere considerato in salute) e più dell’80% degli adolescenti a livello mondiale è insufficientemente attivo.

In queste nuove linee guida sono stati inseriti anche gli adulti (+18) e anziani (+65) i quali dovrebbero svolgere almeno tra i 150 e i 300 minuti a settimana di attività fisica ad intensità moderata oppure tra i 75 e i 150 minuti se l’intensità è vigorosa. Oppure combinazioni delle due modalità che siano equivalenti, senza il limite minimo dei 10 minuti per sessione. Infatti ora “ogni movimento conta” e sono delineati anche almeno due giorni a settimana di esercizi contro-resistenza. Soprattutto per gli anziani, infine, viene introdotta anche una raccomandazione a svolgere almeno 3 giorni a settimana attività fisica combinando attività aerobica, di forza muscolare ed equilibrio, in un’unica sessione.

Le medesime linee guida si rivolgono anche a soggetti affetti da patologie croniche come ipertensione, diabete di tipo 2, inerenti a tumori specifici. Considerando anche gli effetti benefici sulla riduzione della mortalità cardio-vascolare, benefici sulla salute mentale come riduzione dei sintomi dell’ansia e della depressione, inerente la salute cognitiva e il sonno.

È raccomandato fortemente anche incrementare l’intensità moderata superando i 300 minuti oppure i 150 minuti di attività vigorosa durante le settimane per maggiori effetti benefici, o una combinazione delle varie attività considerando le eventuali controindicazioni per i soggetti con condizioni croniche.

Secondo l’American College of Sport Medicine (ACSM) i soggetti diabetici dovrebbero eseguire attività aerobica con il seguente FITT: da 3 a 7 sedute di esercizio a settimana (frequenza), ad un’intensità moderata (40%-59% VO2R o 11-12 della scala  RPE) fino ad arrivare ad un’intensità vigorosa (60%-89% VO2R o 14-17 della scala RPE) per almeno 150 minuti a settimana a intensità moderata o in alternativa 75 minuti a settimana di attività ad intensità vigorosa oppure combinando le diverse intensità (T1DM). Per quanto riguarda il T2DM invece 150 minuti a settimana ad intensità da moderata a vigorosa. Il tipo di attività aerobica deve coinvolgere i grandi gruppi muscolari con movimenti ciclici, prolungati e ritmici come camminare, andare in bici, nuotare.

È importante anche prescrivere esercizio contro-resistenza per almeno 2 volte a settimana non consecutive, anche se 3 volte sarebbe preferibile. L’intensità va da moderata (50%-69% di 1RM) fino ad arrivare a un’intensità vigorosa (70%-85% di 1RM) con sedute da almeno 8-10 esercizi composti di 1-3 serie da 10-15 ripetizioni vicino alla fatica all’inizio dell’allenamento, progredendo verso pesi più alti o maggiore resistenza sempre tramite 1-3 serie con 10-15 ripetizioni. In questo caso si utilizzano macchine isotoniche o pesi liberi.

Per questi soggetti è importante anche lavorare sulla flessibilità almeno 2-3 volte a settimana tramite esercizi di stretching fino al punto di tensione o di leggero fastidio mantenendo la tensione per 10-30 secondi, con 3-4 ripetizioni per ogni esercizio. Si può utilizzare stretching statico, dinamico e/o stretching propriocettivo o PNF (Proprioceptive Neuromuscolar Facilitation).

Secondo l’American Diabetes Association, la maggior parte degli adulti con diabete di tipo 1 e tipo 2 dovrebbe praticare almeno 150 minuti a settimana di attività fisica aerobica ad intensità moderata-vigorosa, distribuendoli su almeno 3 giorni a settimana, cercando di non lasciare due giorni consecutivi senza svolgere attività fisica.

Invece, 75 minuti a settimana di attività fisica ad intensità vigorosa o “interval training”, sembra essere sufficiente per soggetti più giovani e con un livelli di fitness più elevato.

L’esercizio di forza o contro-resistenza dovrebbe essere praticato 2 o 3 volte a settimana non consecutive.

Per adulti e anziani diabetici sono raccomandati anche esercizi di flessibilità nell’ordine di 2 o 3 volte a settimana, considerando attività come yoga e tai chi che si basano anche sull’incremento della forza muscolare e dell’equilibrio.

L’International Diabetes Federation, in linea le altre linee guida, raccomanda almeno dai 3 ai 5 giorni a settimana di attività fisica per un minimo di 30-45 minuti.

Evidenze scientifiche 

È risaputo che l’attività fisica, ancor più l’esercizio fisico strutturato e programmato, conferiscano dei grandi benefici in termini di salute a lungo termine e nel miglioramento del quadro e rischio cardiovascolare, equilibrio energetico, benessere psicologico, come garante delle difese immunitarie e nel miglioramento della forza, della flessibilità e di conseguenza della mobilità articolare nel migliorare la salute generale della persona.

Sono noti ormai i benefici dell’esercizio fisico nel miglioramento del fattore di rischio cardiovascolare soprattutto nelle malattie croniche come il diabete di tipo 2 e l’obesità. I soggetti diabetici di tipo 2 possono migliorare la loro forma fisica e la capacità cardio-respiratoria tramite l’allenamento costante e programmato. Solo così si possono apportare i grandi benefici dell’esercizio fisico nel migliorare il controllo glicemico con un’aumentata sensibilità insulinica che perdura per 48 ore dopo la fase di recupero.

Per cui sia l’esercizio aerobico e contro-resistenza hanno dimostrato portare dei benefici nel controllo glicemico visto che è più semplice e sicuro praticare attività di bassa e media intensità come camminare, ma anche un’intensità di esercizio vigorosa può apportare maggiori benefici di un semplice allenamento aerobico per pazienti con T2DM.

L’allenamento aerobico incrementa la densità mitocondriale, migliora la sensibilità insulinica, gli enzimi ossidativi, la compliance e stiffness vascolare, la funzione polmonare, capacità sistema immunitario, la gittata cardiaca.

Volumi di allenamento moderati ed elevati di attività aerobica sono associati ad un rischio inferiore cardiovascolare e complessivo di mortalità per entrambi i tipi di diabete di tipo 1 e 2.

Più precisamente nel D1TM l’esercizio aerobico introduce un incremento del fitness cardiorespiratorio, un decremento della resistenza insulinica, migliora i livelli di lipidi la funzione endoteliale.

Nel D2TM invece la pratica di esercizio fisico costante comporta una riduzione dell’emoglobina glicata (HbA1C). dei trigliceridi, pressione arteriosa e la resistenza insulinica.

Anche la metodologia di allenamento “HIIT” (High Intensity Interval Training) è un’ottima proposta alternativa che promuove il miglioramento della capacità ossidativa del muscolo scheletrico, la sensibilità insulinica e il controllo della glicemia negli adulti con diabete di tipo 2.

Il diabete non è un fattore di rischio dipendente dalla forza muscolare e della accelerazione del declino della forza muscolare e sua funzione.

I benefici per la salute dell’allenamento contro-resistenza negli adulti porta a un miglioramento della massa muscolare, composizione corporea, forza, funzionalità fisica, benessere mentale, densità minerale dell’osso, sensibilità insulinica, pressione arteriosa, miglioramento del profilo lipidico e del sistema cardiovascolare. Nel diabete di tipo 1 questi effetti non sono molto chiari ma nonostante questo è stata vista una riduzione del rischio di sviluppare ipoglicemia indotta da esercizio. In particolare questo studio riporta che è in una sessione di allenamento combinato, praticare prima esercizio contro-resistenza dell’esercizio aerobico comporta una minor ipoglicemia.

I benefici che comporta per individui con diabete di tipo 2 includono miglioramenti del controllo glicemico, della resistenza insulinica, della massa grassa, pressione arteriosa, forza, e massa magra.

L’esercizio aerobico sembra essere la miglior modalità di intervento per contrastare l’aumento della glicemia nel diabete di tipo 2. Infatti è definito da un movimento continuo, ritmico dei maggiori gruppi muscolari, come camminare, fare jogging e andare in bicicletta. Per questo sembra che intervenendo tramite l’attività fisica si ha una riduzione del rischio di sviluppare D2TM tra il 47 e il 58% nei gruppi con alto rischio e la minore incidenza sembra durare anche per i successivi 10 anni rispetto l’intervento iniziale.

Nonostante solitamente l’esercizio aerobico è utilizzato come attività per contrastare il T2DM, la modalità contro-resistenza produce effetti positivi in quanto migliora la sensibilità insulinica, incrementa la massa magra, la capacità funzionale del muscolo in ottica di autosufficienza e indipendenza. Anche se è complicato dire se apporti maggiori benefici l’esercizio aerobico o quello di forza, si è visto che praticando esercizio fisico in modo strutturato si ha un calo dell’emoglobina glicata (HbA1C) dello 0.67% in soggetti con diabete di tipo 2 sia tramite esercizio di endurance che di forza, oppure entrambi in modo combinato.

Non da meno, quando si parla di allenamento bisogna considerare anche la durata. Infatti almeno 150 minuti a settimana di allenamento di moderata intensità portano ad una riduzione dello 0,89 di HbA1C, mentre una riduzione della durata al di sotto dei 150 minuti portava ad una riduzione solo dello 0,36%. Per di più, un ruolo importante è svolto dalla dieta alimentare che deve accompagnare l’esercizio fisico nella riduzione dell’emoglobina glicata.

In una meta-analisi del 2016 è stato eseguito uno studio longitudinale che ha portato ad un’inversa associazione tra l’attività fisica e l’incidenza del diabete di tipo 2, dove un’aderenza dei soggetti a 150 minuti di attività fisica da moderata a vigorosa ogni settimana ha portato ad una riduzione del rischio di diabete di tipo 2 del 26% nella popolazione generale rispetto a individui sedentari.

Una revisione sistematica del 2019 è stato riportato il ruolo dell’esercizio fisico nell’abbassare la pressione arteriosa, la glicemia, del colesterolo sierico e del peso corporeo e sembra migliorare la risposta insulinica. Combinare esercizi di endurance con esercizi di forza con intensità da moderata a vigorosa, risulta essere la raccomandazione principale.

È stato inoltre dimostrato che tecniche di yoga e Tai Chi possono produrre effetti positivi nei soggetti diabetici di tipo 2. Il Tai Chi è una tecnica che nel tempo si è trasformata in una disciplina per il benessere psicofisico e l’equilibrio interiore. Combinando attività aerobica leggera, esercizi di equilibrio e flessibilità, sembra essere in grado di regolare il glucosio ematico e il livello di emoglobina glicata.

Effetti su apparati e tessuti

L’esercizio fisico garantisce ottimi risultati in termini di salute e benessere. Già Ippocrate, considerato il padre della medicina scientifica, fu il primo medico a riconoscere il valore dell’esercizio fisico nei pazienti con “consunzione.

Vi è accordo generale sul fatto che gli effetti dell’esercizio acuto o a breve termine siano il risultato di meccanismi insulino-dipendenti e insulino-indipendenti, mentre gli effetti a lungo termine coinvolgano anche il cosiddetto “cross-talk tra organi”, che vanno dal muscolo scheletrico al tessuto adiposo, al fegato, raggiungono il pancreas, i quali favoriscono effetti sistemici su HbA1c, livelli di glucosio nel sangue, pressione sanguigna e profili lipidici sierici.

Nella fase post-prandiale, il muscolo scheletrico è il sito maggiormente utilizzato per lo smaltimento e l’assorbimento di glucosio, per questo l’insulino-resistenza periferica che origina dal muscolo è il maggior strumento di sviluppo e progressione del diabete di tipo 2. L’esercizio fisico, utilizzando entrambi i meccanismi insulino-dipendente e insulino-indipendente, migliora l’up-take di glucosio da parte del muscolo scheletrico. Oltretutto migliora la sensibilità insulinica e l’utilizzo di glucosio a livello muscolare. È stato dimostrato anche che, l’esercizio fisico nel breve periodo, può temporaneamente aumentare l’assorbimento di glucosio da parte del muscolo scheletrico fino a 5 volte attraverso un maggior trasporto di glucosio (indipendente dall’insulina). Una volta che questo effetto temporaneo svanisce, dà come risultato un aumento della sensibilità insulinica e nel tempo, i 2 adattamenti appena citati,  inducono miglioramenti e adattamenti sia nella sensibilità insulinica che nella sensibilità all’insulina del muscolo scheletrico.

A livello molecolare, è presente un enzima molto importante nella risposta all’esercizio fisico soprattutto di tipo aerobico che è l’AMPK (adenosina monofosfato-activated protein chinasi). Questa proteina infatti è il maggior regolatore insulino-indipendente dell’assorbimento del glucosio che attivandosi nel muscolo scheletrico tramite esercizio fisico induce il trasporto del glucosio, la sintesi di proteine e lipidi e il metabolismo dei nutrienti. Inoltre AMPK ha la capacità di rimanere attivato anche dopo l’esercizio potendo quindi regolare diversi target molecolari che sono alla base della biogenesi mitocondriale e della sua funzione, più la capacità ossidativa. A tal proposito uno studio ha dimostrato che l’allenamento aerobico induce l’aumento del numero e funzionalità dei mitocondri nei muscoli scheletrici e anche un aumento degli enzimi ossidativi. Questo porta al miglioramento dell’ossidazione del glucosio e della β-ossidazione degli acidi grassi. Per ultimo, ma non meno importante, l’esercizio aerobico incrementa l’espressione delle proteine protagoniste del “signaling” dell’insulina come PGC-1α (fondamentale anche per la biogenesi mitocondriale e metabolismo ossidativo).

Gli effetti benefici dell’esercizio fisico coinvolgono anche il tessuto adiposo, favorendo la riduzione del tessuto adiposo e quindi massa grassa, migliorare la sensibilità insulinica, e soprattutto diminuire l’infiammazione cronica tipica del diabete di tipo 2 che se non trattata aumenta il rischio di patologie cardiovascolari. Le adipochine infiammatorie sono state considerate come nuovi predittori dello sviluppo dell’aterosclerosi, soprattutto dovuto all’ingrandimento delle cellule adipose che deriva da un eccessivo apporto calorico con produzione di citochine pro-infiammatorie, un’alterata secrezione di adipochine, l’incremento degli acidi grassi circolanti (lipotossicità) e concomitante resistenza all’insulina. Perciò è stato proposto che l’esercizio fisico possa sopprimere la produzione di citochine attraverso la riduzione dell’infiltrazione cellulare infiammatoria e conseguente potenziamento della funzione degli adipociti. Ciò comporta la diminuzione dei livelli di fattori pro-infiammatori principali come la proteina C-reattiva e la normalizzazione del “signaling” delle adipochine e relativa secrezione di citochine sono state validate per più modalità di esercizio.

In uno studio del 2005, Ibañez et al hanno dimostrato che praticare esercizio contro-resistenza due volte a settimana per un periodo di 16 settimane senza una concomitante dieta ipocalorica, vada a ridurre il grasso viscerale e sottocutaneo, migliorare sensibilità insulinica e la glicemia a digiuno nei pazienti affetti da diabete di tipo 2.

Il fegato è una ghiandola in grado di regolare il glucosio a digiuno tramite la gluconeogenesi e la glicogenesi epatica. È inoltre il primo sito di azione degli ormoni pancreatici durante la transizione dagli stati pre a quelli post-prandiali.  Anche qui è presente, come nel muscolo scheletrico e nel tessuto adiposo, insulino-resistenza. Particolarmente, la compromessa soppressione della produzione di glucosio epatico causata dall’insulina è un segno distintivo del diabete di tipo 2 e comporta una prolungata iperglicemia.

Se si va a guardare il tipo di esercizio, è stato dimostrato che 7 giorni di allenamento aerobico, senza perdita di peso, migliorano la sensibilità all’insulina epatica. È stato anche dimostrato che l’AMPK epatico viene stimolato durante l’esercizio, suggerendo che una risposta adattativa indotta da AMPK all’esercizio può facilitare una migliore soppressione della produzione di glucosio epatico. Uno studio di Haus J.M. et al. dimostra che 2 settimane di allenamento aerobico riducono la resistenza all’insulina epatica, con e senza limitato introito calorico. Inoltre, la produzione di glucosio epatico era correlata alla riduzione del grasso viscerale, suggerendo che questo deposito di grasso può svolgere un importante ruolo meccanicistico nel miglioramento della funzione epatica.

La conseguenza della resistenza all’insulina nel tessuto adiposo, nel tessuto muscolare o nel fegato richiede una grande secrezione di insulina da parte delle cellule β del pancreas. Si ritiene che questa ipersecrezione sia insostenibile da parte dell’organismo dando inizio alla perdita di funzionalità delle cellule β e diabete di tipo 2. Solitamente i livelli plasmatici di glucosio, insulina, di glucagone a digiuno, sono indicatori scarsi della funziona delle β-cellule.

Sono pochi gli studi che hanno esaminato gli effetti dell’esercizio fisico sulla funzione delle cellule β. Ad ogni modo, il ricercatore Dela e colleghi, hanno dimostrato che 3 mesi di allenamento aerobico migliorano la funzione delle cellule β nel diabete di tipo 2 ma solo in quegli individui che hanno una funzione residua o con livelli di diabete non troppo gravi.

Un altro lavoro di ricerca condotto da Solomon e colleghi, ha dimostrato che un allenamento aerobico della durata di 12 settimane incrementa la funzione delle cellule beta nei soggetti anziani obesi e nei pazienti con diabete di tipo 2.

L’”High Intensity Interval Training” (HIIT) si è dimostrato una tipologia di esercizio in grado di migliorare, con un breve programma di 8 settimane, la funzionalità delle cellule beta, l’azione insulinica periferica e la riduzione del grasso addominale in pazienti con diabete di tipo 2.

Per concludere, negli ultimi anni sono anche emersi programmi “alternativi” di allenamento ad alta intensità come il  “Cross-training”. Uno studio di prova ha rilevato che un programma di cross-training di 6 settimane ha ridotto il grasso corporeo, la pressione diastolica, i lipidi e il punteggio Z della sindrome metabolica e ha aumentato la sensibilità dell’insulina al glucosio, l’ossidazione del grasso basale, il VO2max e l’alto contenuto molecolare di adiponectina.

Parola d’ordine: muoversi

Ripartiamo dal movimento, dall’attività fisica e dall’esercizio fisico strutturato e programmato. Il diabete è una patologia cronica che può essere gestita meglio se attivi. Per questo, insieme all’assunzione di farmaci e quindi una terapia farmacologica, è necessaria anche una “prescrizione di esercizio fisico”  che a lungo termine può avere effetti simili a un farmaco, ma senza effetti collaterali.

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